La Brain-Computer Interface una Nuova Speranza di Comunicazione
La Brain- Computer Interface (BCI) è un’interessata soluzione per consentire alle persone, nello stato finale del processo neurodegenerativo della malattia, quale la SLA, di continuare a comunicare con le altre persone.
Camilla Mercadante, giornalista e scrittrice, ha intervistato, nella trasmissione radiofonica “SCAAvalchiamo le barriere” di Radio Greenstage , il professore emerito di neurobiologia comportamentale e psicologia medica: Dr. Niels Birbaumer. L’intervista era sulle potenzialità offerte dalla Brain-Computer Interface (BCI) per la comunicazione di persone con gravi disabilità comunicative (cfr. https://www.youtube.com/watch?v=5scxYA3iDQE ). Tra gli ospiti della puntata c’era, anche, Valentina Furin sorella di Fabio la quale ha condiviso l’esperienza dell’impiego della BCI su Fabio.
In questa prima parte dell’articolo ci soffermeremo maggiormente sugli aspetti più tecnico -scientifici della BCI e rimandiamo a quello successivo in cui parleremo dell’esperienza di Fabio.
Alla prima domanda posta al prof. Niels Birbaumer su “Come funziona la Brain-Computer Interface?” lui rispondeva che l’interfaccia cervello-computer, agisce registrando i cambiamenti elettrici prodotti dai pensieri. I segnali possono essere rilevati esternamente, posizionando gli elettrodi sulla testa, oppure, in modo invasivo, impiantandoli direttamente nel cervello. Lo strumento consente di annotare le variazioni elettriche del cervello e, utilizzando gli algoritmi matematici di intelligenza artificiale, cerca di differenziare le variazioni a fronte di ciò che uno sta pensando. Questo consento di identificare le variazioni elettriche del cervello quando una persona pensa al sì oppure al no. Il processo richiede che il soggetto ripeta lo stesso pensiero più volte, affinché il computer possa imparare a distinguere il segnale corrispondente. Se la tecnologia in uso riesce a rilevare il segnale elettrico di quando una persona pensa al “sì” o al “no” con una probabilità sufficiente (ad esempio, sopra il 70% di casi positivi), la persona potrebbe utilizzarla al fine di selezionare lettere o parole illustrate da essa. Il principio è lo stesso del movimento oculare o muscolare per comunicare, ma è utile quando le persone sono in stato di completely locked-in.
Come spiega il professor Birbaumer, i processi cerebrali variano da persona a persona, e ogni pensiero produce un segnale diverso. Per cui è importate il processo di personalizzazione della Brain-Computer Interface che permette di addestrare l’algoritmo e quindi di poter discriminare i segnali celebrali che descrivono una data parola o un dato pensiero. Il tutto è fatto utilizzando l’intelligenza artificiale. Sebbene sia uno strumento potente, la sua efficacia è limitata dalla disponibilità, dalla quantità e dalla qualità dei dati, che dipendono anche, dalla donazione delle persone interessate all’utilizzo della BCI.
Valentina confermava la necessità di dover addestrare la BCI e affermava che, al contrario delle macchine, il cervello umano è un sistema molto più complesso che reagisce a diversi stimoli in relazione anche all’ambiente in cui si trova la persona. Per cui l’empatia tra il paziente e il ricercatore e fondamentale nel processo di raccolta dei dati e di addestramento della BCI.
Nel prossimo articolo condivideremo l’esperienza di Fabio raccontata da sua sorella Valentina .
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